Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto. (Seneca)
Inscatolare ricordi, custodire il dolore
A chi non è mai capitato di vivere un dolore emotivo e soffrire…Soffrire per una perdita, una delusione o un disagio personale. Così come, almeno una volta nella vita, tutti siamo andati a caccia di miraggi emotivi necessari a risanare la sofferenza dei sensi. In alcune situazioni, si può avere la tendenza a combattere l’inevitabile ricorso a ricordi spiacevoli con il tentativo di non pensarci; si può tentare di scacciare via pensieri o vissuti passando a memorie migliori o a fare cose che aiutano a spostare l’attenzione dal sentire.
Troppo doloroso starci dentro, realizzare lo stato delle cose, trovare un posto a ciascuna delle memorie e dei fatti accaduti. Diviene necessario proteggersi da quelle sensazioni viscerali e da quegli eventi dolorosi che si vorrebbe poterli svestire del malessere che restituiscono e collocarli in un posto dove non ci siano strappi.
Le reazioni alla sofferenza possono essere diverse e variare da persona a persona:
C’è chi si carica di impegni fino a immergersi nelle responsabilità del fare continuo negando la dignità allo star male e al sentire; c’è chi si abbandona e si crogiola nel dolore fino a farne lo scudo davanti a una realtà inaccettabile. Tali reazioni sono spesso un passaggio necessario che piano piano lasciano spazio al contatto graduale del dolore interiore fino a elaborare e integrare il tutto nel proprio percorso di vita. Altre volte, rappresentano difese irrigidite che se reiterate nel tempo, bloccano il processo di adattamento alle inevitabili conseguenze degli eventi spiacevoli della vita. Provare dolore è inevitabile, ma soffrire, può anche diventare una scelta personale.
Ma quali possono essere gli effetti del dolore vissuto?
Scrivere il dolore
Diversi studi hanno dimostrato gli effetti terapeutici della scrittura. “Scrivo per abbassare la febbre del sentire” scriveva Pessoa ed è questo, uno dei motivi per cui la scrittura è un ottimo strumento terapeutico se applicato in modo corretto e funzionale. In terapia breve strategica si ricorre spesso alla prescrizione della scrittura per la gestione delle emozioni, in questo caso, alla espressione dei vissuti di dolore anche per iscritto, secondo un processo indispensabile all’efficacia terapeutica concordato con il terapeuta.
Scrivere e prendere contatto con il proprio dolore emotivo significa creare le condizioni per sostare su di esso, mentalmente, emotivamente e fisiologicamente fino a prenderne il controllo e gestirlo gradualmente. In seguito, alcuni effetti che si ottengono mettendo per scritto la sofferenza:
Abitare il dolore per aprirsi alla vita
Sentire il dolore (emotivo) spaventa. Si ha paura del crollo di sé, si ha paura di soffrire e di non farcela. Ci si dimentica che davanti a questo, non si può scegliere se provarlo o meno, e ad oggi, non esistono anestetizzanti chimici in grado di inibirne gli effetti fisiologici. Parafrasando Viktor Frankl, la vita ci può strappare le cose più care ma non può toglierci la possibilità a scegliere di fronteggiarle una volta che accadono. Di fronte al dolore, necessitiamo e cerchiamo i modi per scansarlo, ci opponiamo con resistenza alle ragioni per viverlo. Scrivere il dolore, in qualche modo, aiuta a trovare il coraggio di farlo.
E’ difficile contattare per poi validare attraverso la scrittura, lo spazio che la sofferenza emotiva prende dentro di noi. Questo richiede di farsene carico e riviverla, e per di più, mettendola per scritto. Provare il dolore, sentirlo fino alle viscere ci è indispensabile per amarci e sentirci così come siamo, riconoscerci come nessuno sarebbe capace di fare. Sentire male ha un prezzo. Il dolore non fa sconti a nessuno, neanche quando si ricorre “al riparo” riempendo il vuoto: col senso di colpa, con la rinuncia, oppure negandolo. Sedare il dolore significa sedare la gioia, trovarsi di fronte a situazioni in cui niente è abbastanza forte da far toccare il fondo o da dare la spinta per risalire a galla. Scrivere, a supporto del processo terapeutico, permette il sentirsi e l’aprirsi alla vita, rendendo alla sofferenza la dignità dell’essere stata vissuta e la valenza che può assumere per poterla attraversare.
Esasperare il dolore per attraversarlo
Dimenticare è impossibile, conviene prenderne atto. Così come, fare scatole su scatole dentro di noi non elimina la sofferenza. La si custodisce silenziosamente, e in silenzio le si da voce.
Anche le pareti più solide crollano quando nell’anima vive il dolore sommerso, e anche gli spazi più profondi divengono insufficienti ad arginare la piena della sofferenza inespressa. Si sa, dentro il dolore si può sprofondare se non adeguatamente gestito. Esasperare il dolore, scrivendolo e canalizzandolo in modo strategico e terapeutico, può farlo decantare e promuove la ripresa di un equilibrio funzionale a livello emotivo e mentale.
Paradossalmente, più ci si autorizza a provarlo e più lo si controlla quando arriva. Più gli si dà voce e più si diviene capaci di accoglierlo senza combatterlo. È aprirsi al dolore che porta a riconoscerlo, accettarlo per poi gestirlo fino a distaccarsi e farne di esso, il trampolino di lancio verso nuove esperienze, con un pizzico di potere in più: l’esperienza del saper essere fragili.
Bibliografia suggerita:
Cagnoni F., Milanese R. (2009) Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Ponte alle grazie, Milano.
Meringolo P., Chiodini M., Nardone G. (2016). Che le lacrime diventino perle. Ponte alle Grazie.
Nardone G., (2003), Cavalcare la propria tigre, Ponte alle Grazie, Milano
Nardone, G. (2014). La paura delle decisioni. Milano: Ponte alle Grazie